Psichiatria da nobel
La psichiatria vanta le proprie origini mediche, chiama “malati” le persone sottoposte (volontariamente o involontariamente) alle sue pratiche (che chiama “terapeutiche”) e afferma (senza averla mai dimostrata e spesso contro il parere dei suoi utenti) l’esistenza della malattia mentale la cui “cura” (spesso non richiesta) afferma essere il suo obiettivo.
In realtà la psichiatria si occupa di persone che piuttosto che accusare un qualche disturbo, “creano” disturbo a chi sta loro intorno. La cosiddetta “cura”, così, non è altro se non l’insieme dei metodi e delle pratiche che essa mette in campo per far smettere le persone di creare fastidio, inquietudine, smarrimento, paura e, perché no anche fascino e infatuazione in chi sta loro intorno,
Solo se si afferra la vera natura di tutte le teorie e pratiche psichiatriche, si può capire come sia stato (e sia ancora oggi) possibile il genocidio delle coscienze e delle esistenze che essa ha praticato (e pratica), indisturbata e impunita, da oltre un secolo.
Continuare a parlare di malattie o sofferenza da un lato, così come di cura e trattamento dall’altro, non fa che mistificare il vero oggetto della pratica psichiatrica che è il controllo dei comportamenti e dei pensieri disturbanti. Questa sua funzione “sociale” fa si che alla pratica psichiatrica sia stata (e sia) concessa piena libertà di sperimentazione su esseri umani inermi e non consenzienti.
Non è un caso che il riconoscimento del premio Nobel per la medicina, ad oggi, sia stato concesso solo a due psichiatri, per la sperimentazione di “terapie” fisiche che per la loro invasività e per la logica che le sottende, ben rappresentano la mission e l’oggetto della pratica psichiatrica.
Nel 1927 il premio Nobel va allo psichiatra Julius Wagner-Jauregg per la “scoperta del valore terapeutico dell’inoculazione della malaria nel trattamento della demenza precoce”. L’ipotesi “scientifica” del premio Nobel era che l’induzione di febbri violente, in una persona ritenuta psicotica, potesse produrre, per riscaldamento, la morte del “virus” della follia. Wagner-Jauregg dapprima inoculava artificialmente il bacillo della tubercolosi. Successivamente passava ad infettare le persone al bacillo della malaria. Il risultato “terapeutico” premiato consisteva nel fatto che alcuni soggetti tendevano a diventare più calmi con il tempo.
Nel 1946 il premio viene assegnato allo psichiatra Egas Moniz per la “scoperta del valore terapeutico delle lobotomie in alcune psicosi”. L’ipotesi “scientifica” di Moniz immagina che la recisione di fibre nervose cerebrali che connettono il talamo con la corteccia prefrontale possa produrre, nella persona ritenuta psicotica, un effetto “terapeutico”. La “terapia” appare efficace stante che le persone trattate, dapprima iperattive, si trasformano in larve umane, diventando docili cavie nelle mani dei loro “curatori”.
E’ inutile aggiungere che nessuno ha mai pensato di revocare questi riconoscimenti e nessuno ha mai vietato per legge tali pratiche. Con il tempo sono andate semplicemente in disuso, sostituite da altre “terapie” altrettanto “efficaci” ed invasive (ma socialmente più accettabili).
Scrive Oliver Sacks, neurologo, “Il grande scandalo della leucotomia e della lobotomia cessò, al principio degli anni Cinquanta, non a causa di riserve o di mutamenti di tendenza nel mondo della medicina, ma perchè in quegli anni si erano resi disponibili nuovi strumenti – i tranquillanti – che pretendevano (proprio come la psicochirurgia) di portare alla guarigione completa senza indurre effetti collaterali.
Se poi, dal punto di vista etico e neurologico, ci sia una grande differenza fra psicochirurgia e tranquillanti, è una domanda inquietante che non è mai stata affrontata davvero“.
Per inciso: la piretoterapia e la lobotomia, sono a tutt’oggi, praticate.